mercoledì 23 gennaio 2008

Silvia Sbordoni

"I", 2007
Luogo del gioco e del pensiero.

Mi sento perfettamente a mio agio nel vuoto dell’edificio, che in assenza dell’elemento umano che gli conferisce una funzione, è immobile.
Il mio passo nei corridoi fa eco. Cammino lentamente. Salendo le scale raggiungo il secondo piano, mi fermo alla finestra che si affaccia all’ingresso principale.
E’ sempre stato il mio rifugio preferito. Il mio punto di osservazione sull’esterno e di riflessione sull’interno. Da lì io comunico con l’edificio: ne percepisco una vita nascosta, come se di mattina avesse registrato dell’energia, e la sera me la restituisse sotto forma di rumori distanti, di suoni impercettibili. Ascolto il ticchettìo dell’orologio meccanico che la mattina fa suonare la campanella scolastica e il rumore di un neon che si spegne e si accende.
Per un attimo mi sembra di essere in simbiosi con l’edificio: le sue mura sono la cassa di risonanza dei miei giochi e dei miei pensieri. Del “nascondersi”.
Immersa di notte nel regno del sé, la mia presenza al mattino si nasconde e l’edificio si anima di nuovo dei rumori della quotidianità scolastica. A volte, anche inconsapevolmente, ho lasciato delle tracce del mio passaggio.



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